giovedì 10 maggio 2012

Disturbi alimentari


         

I Disturbi del Comportamento Alimentare si riferiscono a tutti quei disturbi in cui è presente un rapporto alterato con l’alimentazione e con la percezione del proprio corpo.

La relazione con il cibo diventa, in questi casi, un pensiero dominante nella vita della persona che soffre di questo disagio ed è caratterizzata da un pensiero spesso ossessivo sull’alimentazione.

In base al tipo di disturbo, può essere presente un’attitudine a fagocitare i pasti in modo disordinato, una tendenza all’astinenza e al digiuno, una propensione ad adottare condotte di eliminazione come il vomito o il ricorso a lassativi, una modalità ritualizzata di gestire il momento dell’ingestione di cibo.


Spesso il controllo sulla nutrizione è accompagnato da un altrettanto rigido controllo sul peso corporeo, in funzione del quale è organizzata e gestita, più o meno compulsivamente, la quantità e qualità di pasti da consumare.

Il rapporto con il cibo assume caratteristiche diverse da persona a persona ed è notevolmente influenzato da fattori culturali infatti, oltre a variare da popolazione a popolazione, risente anche del contesto storico-culturale in cui l’individuo è calato.

Un disturbo alimentare può essere considerato tale quando, il comportamento finalizzato al controllo del cibo e del peso corporeo, ha il potere di condizionare in modo disfunzionale la sfera affettiva, lavorativa, familiare e sociale della persona e, soprattutto, influire negativamente sul benessere psico-fisico.

I Disturbi del Comportamento Alimentare spesso portano a conseguenze organiche di gravità variabile che possono incidere pesantemente sullo stato di salute dell’individuo e alterano l’equilibrio omeostatico dell’organismo.


I Disturbi del Comportamento Alimentare più diffusi e più conosciuti sono:

- La Bulimia Nervosa
- L’Anoressia Nervosa
- Disturbo da Alimentazione Incontrollata (Binge Eating)
- L’Obesità


Quando è presente un disturbo alimentare di grave entità, una psicoterapia o, a seconda dei casi, un trattamento integrato che monitori anche l'aspetto medico-organico, può rivelarsi di grande utilità per le persone che vogliono riconquistare il controllo sul proprio corpo e sul proprio benessere.




Disturbi alimentari infantili

Da sempre i genitori si preoccupano della nutrizione dei propri figli poiché una sana ed equilibrata alimentazione favorisce un altrettanto sano sviluppo del bambino, soprattutto nei primi anni di vita. 

Un Disturbo dell'alimentazione insorge quando si incontrano dei disagi, di diversa intensità, durante il processo di nutrizione più o meno duraturi nel tempo. 

In realtà esistono dei momenti critici in cui l’insorgere di piccoli rifiuti di cibo da parte del bambino, è frutto della fase dello sviluppo che sta vivendo. Uno di questi delicati momenti è quello dello svezzamento, in cui si passa da cibi liquidi (il latte) a cibi più consistenti (le pappe). In questo periodo, è utile che l’adulto che nutre il bambino, comunichi al piccolo la propria tranquillità e sicurezza, poiché l’introduzione di un cibo nuovo e diverso può essere per lui fonte di ansia. 

Tra le condizioni più frequenti, vi è quella del bambino che mangia solo alcuni cibi, a discapito della varietà alimentare: in alcuni casi, caratteristiche come il colore o la forma dell'alimento, possono influenzare la scelta; in queste situazioni, è necessario stimolare il bambino con latri cibi per riattivare la curiosità verso nuovi sapori. 

Mentre alcuni bambini respingono il cibo mettendo in atto condotte di RIFIUTO durante il momento della nutrizione, altri ricorrono al VOMITO.
Nei casi più gravi, si può arrivare ad un vero e proprio DISTURBO DELLA NUTRIZIONE DELLA PRIMA INFANZIA, ossia l’incapacità di mangiare adeguatamente, come manifestato dalla significativa impossibilità di aumentare di peso o da una significativa perdita di peso durante un periodo di almeno un mese (DSM IV tr). In questi casi, dopo aver escluso particolari condizioni mediche associate, è auspicabile ricorrere prontamente ad una terapia. 

Molto spesso l’esordio del sintomo può essere correlata ad eventi specifici occorsi nella vita del bambino: una malattia, un trasloco o l’affidamento ad una nuova figura di accudimento, come succede durante l’inserimento al nido. In questo caso, è importante la cooperazione tra i genitori e la nuova figura, con lo scopo di condividere abitudini e routine, per rendere il passaggio meno brusco; è importante inoltre pianificare insieme l’introduzione di nuovi cibi e l’inizio dello svezzamento, per far sì che il bambino ritrovi le stesse modalità di somministrazione del cibo sia a casa che a scuola: la presenza di questa forma di coerenza in tutti i contesti di vita del bambino, dona sicurezza, fiducia e stabilità al piccolo. 

È comprensibile che un genitore, in condizioni di alimentazione inadeguata del proprio figlio, possa sentirsi inadeguato egli stesso, arrivando ad esperire vissuti di ansia e di impotenza, difficili da gestire. 
Il bambino, d’altra parte, può leggere la preoccupazione del genitore in molteplici modi e attivare risposte comportamentali particolari, come reazione allo stato d'animo dei genitori. 
Ogni sintomo manifestato, ha un valore relazionale profondo: è probabile che il bambino, attraverso il suo rifiuto, voglia comunicarci qualcosa di specifico e che usi i mezzi e i canali comunicativi che egli conosce meglio, soprattutto quando il linguaggio ancora non è pienamente sviluppato. In questi casi, un lavoro psicoterapeutico mirato sulla relazione tra figlio e genitori, ci consente di decodificare il messaggio veicolato dal sintomo, investirlo di un significato e contestualizzarlo, restituendo al bambino e alla famiglia nuove possibilità comunicative. 

Il momento del pasto ha un valore significativo perché nutriamo nostro figlio, oltre che con gli alimenti, con le nostre emozioni e la nostra affettività. Quello che passa attraverso questo canale, lo nutre ad un livello profondo ed ha una grande influenza sullo sviluppo psicoaffettivo del bambino, oltre che sulla crescita fisica. 

In tutte queste situazioni, una terapia familiare consentirebbe a tutti i componenti del nucleo, anche e soprattutto ai più piccoli, di comunicare con gli altri ad un livello più intimo e profondo, favorendo uno scambio più chiaro e una maggiore e reciproca possibilità di conoscersi e comprendersi.




Bulimia



LA BULIMIA NERVOSA: BREVE INTRODUZIONE 

La parola sembra derivare dal greco bous=bue e limos=fame, ma questa definizione tiene conto solo dell’aspetto di smodata fagocitazione di cibo e non della condotta di eliminazione dello stesso attraverso il vomito che, invece, è una componente essenziale per diagnosticare la bulimia nervosa, oltre al fatto che questi episodi di ingestione e successiva espulsione di cibo dovrebbero verificarsi almeno due volte a settimana per almeno tre mesi per parlare di vera e propria sindrome bulimica. 

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Nel corso della storia ne hanno parlato diversi autori, a testimonianza del fatto che questo tipo di condotta alimentare è sempre stata presente tra i disturbi della specie umana. Galeno ne evidenziava la “forte ingestione di cibo, collasso e pallore conseguenti”; il Talmud accenna “all’alterazione dello stato di coscienza”; Aureliano ne parla come di una “malattia cronica”. Ma per arrivare ad una definizione compiuta di tale patologia bisognerà aspettare il 1979, quando Russell la descriverà come una vera e propria sindrome all’interno dei disturbi del comportamento alimentare o Disturbi Alimentari Psicogeni (DAP) e come “una minacciosa variante dell’ anoressia nervosa”. 



SINTOMI SPECIFICI DELLA BULIMIA NERVOSA 

1) VORACITÀ PATOLOGICA E ABBUFFATE 

Essa è caratterizzata da una costante voracità patologica accompagnata da eccessiva ingestione di cibo in un tempo relativamente breve, se paragonato al tempo che le altre persone impiegherebbero per consumare la stessa quantità di cibo. È una compulsione verso la “quantità” del cibo, non verso un alimento specifico. 

Si parla pertanto di vere e proprie “abbuffate” (o binge-eating) che non consentono di concentrarsi sul gusto o sul piacere dell’appetito ma hanno lo scopo di fagocitare, in modo impulsivo e senza controllo, la più grande quantità di cibo nel minore tempo possibile e, soprattutto, in solitudine, lontano da sguardi indiscreti; per questo l’episodio bulimico può essere più o meno programmato. 

Le abbuffate presentano delle costanti:

-una forza incontenibile percepita dalle stesse pazienti come estranea alla volontà del soggetto 

-assunzione di una enorme quantità di cibo ipercalorico (dalle 1000 alle 10000 calorie) 

-assunzione di cibo spazzatura o junk-food:dal momento che la priorità di queste pazienti è quella di riempirsi nel minor tempo possibile, per loro non c’è il tempo di cucinarsi il cibo in modo tale da renderlo commestibile, pertanto divorano anche alimenti non del tutto scongelati, patatine, panetti interi di burro, merendine…..mescolando indifferentemente dolce e salato. 

-la paura di non essere in grado di smettere. Infatti l’abbuffata si ferma solo quando insorgono dolori addominali, nausea o c’è il rischio di essere scoperti all’improvviso 

Gli stimoli innescanti l’abbuffata sono molteplici:
senso di vergogna, colpa, disgusto, bassa autostima, fallimento percepito, frustrazione, incertezza per il futuro, una perdita interpersonale, paura delle responsabilità, sensazione di essere incompresi o non amati…… 

L’abbuffata bulimica porta con sé sentimenti di disgusto per se stessi, depressione, colpa e vergogna e soprattutto una componente dissociativa di depresonalizzazione descritta di seguito. 


2) SENSAZIONE DI PERDERE IL CONTROLLO E DISSOCIAZIONE 

Un’altra componente centrale delle abbuffate è la sensazione di perdere il controllo con cui gli individui bulimici si ritrovano a fare i conti in modo angoscioso e doloroso. 

Un altro elemento diagnostico della bulimia nervosa è la presenza di una componente dissociativa che si manifesta durante le abbuffate o nella fase del vomito, raramente dopo. Le frasi ricorrenti pronunciate dalle persone che soffrono di bulimia nervosa sono: “Mi guardavo dall’esterno”, “ mi vedevo fare questo ma non ero io”; “non mi sentivo nel mio corpo”; “non sentivo nulla”…. e fanno ipotizzare che queste pazienti sperimentino stati di depersonalizzazione e derealizzazione connessi alla patologia 


3)CONDOTTE DI ELIMINAZIONE (IL VOMITO) 

Ogni episodio bulimico è poi accompagnato da condotte di eliminazione, come ad esempio il vomito, a carattere compensatorio, per neutralizzare gli effetti dell’abbuffata e controllare il peso. 

Il controllo del peso è una tematica verso la quale le persone bulimiche sono eccessivamente sensibili in quanto, la rigidità delle regole che si autoimpongono in merito alla condotta alimentare, ha come unico scopo proprio quello di evitare l’aumento ponderale. 

I modi per procurarsi il vomito sono molteplici:dall’introduzione delle dita in gola, fino all’intera mano che arriva quasi all’esofago. Alcune fanno incetta di sostanze liquide o grandi quantità di latte e acqua per facilitare il successivo svuotamento. Altre ancora hanno talmente tanta esperienza nelle azioni di svuotamento che riescono ad attuarlo grazie solo a specifici atti respiratori o movimenti addominali. 

Le pratiche di eliminazione spesso lasciano dei segni visibili nell’aspetto delle pazienti bulimiche e, a volte, sono gli unici indizi che consentono di intravedere un disagio sottostante che, altrimenti, resterebbe nascosto ad un occhio esterno, dal momento che si tratta di soggetti che, per la maggior parte dei casi, riescono a camuffare alla perfezione il loro malessere, apparendo al di fuori come perfettamente integrate. Questi segni inconfondibili sono: 

-la presenza di un piccolo callo sulla parte dorsale della mano all’altezza del primo metacarpo dovuta alla sfregamento cronico di questa parte contro i denti 

- perdita dello smalto dentale, specialmente a livello delle superfici linguali dei denti incisivi che appaiono scheggiati e danneggiati. Inoltre sono più predisposti alla formazione di carie. 

- la cospicua attività delle ghiandole salivari porta ad un ingrossamento delle parotidi visibile ad occhio nudo. 

La pratica di espulsione del cibo spesso è accompagnata da una piacevole sensazione di svuotamento e liberazione catartica, come una sorta di purificazione in grado di provocare una calma interiore agognata. 


4) OSSESSIONE PER IL PROPRIO PESO 

L’ossessione di tenere sotto controllo il proprio peso pervade ogni ambito della loro giornata. Concentrarsi sulla stabilizzazione del proprio peso corporeo e dare un’immagine di sé socialmente ed esteticamente inemendabile, permette loro di valutarsi positivamente e alimentare favorevolmente la propria autostima. 

Oltre alle pratiche di eliminazione del cibo finalizzate a controbilanciare le abbuffate, queste pazienti controllano il proprio stato ponderale anche attraverso digiuni estenuanti ed esercizio fisico massacrante. 


5)ASTENSIONE DAI PASTI REGOLARI 

Esse evitano i pasti quotidiani imponendosi regole molto ferree in merito ma poi, questa spietata astensione, conduce inevitabilmente a trasgressioni che sono tanto più intense quanto più è rigido il comportamento di evitamento dei pasti regolari. Spesso gli individui bulimici saltano questi pasti proprio per paura di non potersi più fermare una volta cominciato a mangiare e ciò sarebbe imperdonabile ai loro occhi, soprattutto se dovesse accadere in pubblico o in circostanze in cui potrebbero essere facilmente scoperti. 


CRITERI DIAGNOSTICI DEL DSM-IV-TR

I seguenti criteri diagnostici presenti nel DSM-IV-TR riassumono in modo più schematico quanto detto finora: 
A.Ricorrenti abbuffate. Un’ abbuffata è caratterizzata da entrambi le condizioni seguenti: 

1)mangiare in un definito periodo di tempo (ad es. un periodo di due ore), una quantità di cibo significativamente maggiore di quello che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso tempo ed in circostanze simili. 

2)sensazione di perdere il controllo durante l'episodio (ad es. sensazione di non riuscire a smettere di mangiare o a controllare cosa e quanto si sta mangiando). 

B.Ricorrenti ed inappropriate condotte compensatorie per prevenire l'aumento di peso, come vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici, enteroclismi o altri farmaci, digiuno o esercizio fisico eccessivo. 

C.Le abbuffate e le condotte compensatorie si verificano entrambe in media almeno due volte alla settimana, per tre mesi. 

D.I livelli di autostima sono indebitamente influenzati dalla forma e dal peso corporei. 

E.L'alterazione non si manifesta esclusivamente nel corso di episodi di Anoressia Nervosa. 

Sottotipi: 

Con Condotte di Eliminazione: nell'episodio attuale di Bulimia Nervosa il soggetto ha presentato regolarmente vomito autoindotto o uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi. 

Senza Condotte di Eliminazione: nell'episodio attuale il soggetto ha utilizzato regolarmente altri comportamenti compensatori inappropriati, quali il digiuno o l'esercizio fisico eccessivo, ma non si dedica regolarmente al vomito autoindotto o all'uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi. 


EPIDEMIOLOGIA: distribuzione e frequenza della Bulimia nella popolazione 

Questa sindrome risulta essere molto complessa rispetto agli altri disturbi della condotta alimentare infatti subisce veloci modificazioni nel corso del tempo arricchendosi di nuove varianti e dilagando sempre più rapidamente tra la popolazione. 

Fino a qualche decennio fa, questo disturbo risultava essere assente tra le popolazioni orientali e latino americane mentre ora i casi sono aumentati vorticosamente.
Durante gli anni è stata sottovalutata dagli stessi ricercatori, ingannati forse dal fatto che la bulimia nervosa nasconde in sé l’arma di poter apparire invisibile proprio perché chi ne è affetto, nella stragrande maggioranza dei casi, sembrerebbe all’apparenza insospettabile. 

La Bulimia nervosa insorge generalmente in adolescenza e, come nel caso dell’ anoressia nervosa, interessa prevalentemente il sesso femminile, mentre coinvolge il genere maschile solo per il 10 o 15 %, ma queste stime sono in rapido aumento in tutto il mondo. Oggi i casi di bulimia nervosa sono il triplo rispetto a quelli di anoressia e, mentre la percentuale di casi di anoressia rimane stabile nel tempo, ciò non accade per la bulimia che è destinata a crescere. 

Si stima che dall’1 al 3 % delle giovani donne (stime USA n.d.t.) soffra di bulimia contro lo 0,5 / 1 % di quelle che presentano anoressia nervosa. Sembra anche che la bulimia nervosa investa una gran parte di donne (circa il 50%) che, in passato, soffriva di anoressia nervosa e che, con l’aumentare dell’età, riduce la propria capacità di controllo serrato sulle proprie condotte alimentari pertanto risulta loro sempre più difficile continuare ad adottare l’atteggiamento restrittivo di evitamneto costante del cibo.
Risulta anche che circa il 40% delle universitarie abbia manifestato sintomi di abbuffate o condotte di liberazione. 


La personalità degli individui bulimici

Un tratto comune di chi soffre di bulimia nervosa è la tendenza a cedere all’impulsività e l’incapacità di negoziare all’interno delle relazioni, ma tra queste pazienti esistono due grandi tipologie. 

1)Coloro che riescono a mantenere una facciata di benessere, che appaiono come ragazze di bell’aspetto, con una linea invidiabile, che hanno successo nelle relazioni e nel lavoro, ispirate ad un ideale di perfezionismo che cela invece una grande sofferenza interna, a volte svelata da una sintomatologia di tipo depressivo. 

2)Coloro che invece sono descritte come “multiimpulsive”, ovvero con un quadro clinico arricchito da altri disturbi comportamentali come instabilità dell’umore, dipendenza o abuso di sostanze o alcool, gesti autolesionistici, disinibizione e promiscuità sessuale. Esse appaiono con un compromesso funzionamento sociale, mal inserite nei contesti lavorativi e affettivi. 


PROBLEMI ASSOCIATI ALLA BULIMIA NERVOSA 

Spesso questo disturbo del comportamento alimentare viene accompagnato da altre condotte ugualmente problematiche come ad esempio: 

1)Uno stato di labilità ed incostanza emotiva dovute ad uno scarso controllo emotivo 

2)Comportamenti autolesivi e, in casi rari ed estremi, tentativi di suicidio 

3)Furti nei negozi, spesso legati alla frenesia di procacciarsi il cibo e comportamenti cleptomanici di vario tipo 

4) Dipendenza/abuso di alcool 

5) Ridotto controllo degli impulsi che investe svariati ambiti della vita della persona, da quello affettivo a quello lavorativo 


IL RAPPORTO CON IL CORPO 

Il rapporto che queste pazienti hanno con il proprio corpo è incentrato sul disprezzo e maltrattamento del loro organismo che le distingue dalle pazienti anoressiche che pensano di sacrificarsi eroicamente nel tentativo, da loro percepito, di innalzare il proprio corpo nella bramosia di assurgere alla perfezione. 

Entrambi i disturbi prevedono dei comportamenti estremi e discutibili ma, nel caso della bulimia nervosa, l’intento di martoriare il proprio corpo risulta essere più evidente.
Spesso le bulimiche erano in passato delle bambine obese con genitori preoccupati per il fatto che i figli fossero più grassottelli degli altri coetanei. 

Alcune ricerche attestano inoltre che circa l’80% degli abusi perpetrati a danno dei bambini, sono seguiti da bulimia. In questi casi si tratta di bambini che o sono stati maltrattati e abusati, o non hanno ricevuto sostegno dalle proprie figure affettive di riferimento e, come sintomo secondario, sviluppano una sindrome bulimica. 


CONSEGUENZE ORGANICHE DELLA BULIMIA NERVOSA 

Le condotte alimentari perpetrate dalle pazienti bulimiche ai danni del proprio corpo per controllare il proprio peso, ovvero le abbuffate, il vomito e l’utilizzo di lassativi, possono causare gravi conseguenze all’organismo, soprattutto se ripetute nel tempo. 

Le abbuffate possono causare:
-Disturbi mestruali
-Disturbi endocrini
-Dilatazione acuta e rischio di rottura dello stomaco
-Rigonfiamento delle parotidi….. 

Il vomito frequente può causare:
-Disidratazione
-Complicazioni renali
-Rischio di collasso cardio-circolatorio
-Lacerazione dell’esofago
-Reflusso gastrointestinale ed esofagite
-Emorragie di provenienza esofagea o gastrica…. 

L’abuso di lassativi può causare:
-Disturbi del ritmo cardiaco
-Disidratazione
-Danni renali
-Diarrea
-Letargia
-Emorragie anali e rettali…. 

LA TERAPIA 

La terapia sistemico-relazionale tende a considerare i diversi aspetti del contesto in cui la paziente è inserita, soprattutto se si tratta di adolescenti o giovani donne in quanto lavorare insieme a tutti componenti della famiglia può rivelarsi di grande utilità. Questa condotta alimentare potrebbe avere una valenza comunicativa rispetto a relazioni interpersonali vissute dalla paziente, o da altri componenti del sistema, come problematiche. 

La psicoterapia sistemico-relazionale, per i casi di bulimia nervosa, diventa un percorso fortemente esperenziale finalizzato a ricostruire i contorni del Sé dei pazienti in un lavoro congiunto che coinvolge tutti i componenti del sistema che si trova in terapia, terapeuti compresi. La terapia aiuta la persona a demarcare più chiaramente i propri confini personali attraverso un complesso processo di definizione finalizzato al recupero di una sana autostima e valorizzazione delle proprie risorse.





Anoressia



Prima di entrare nel vivo della sintomatologia di tipo anoressico e dell’aspetto più propriamente medico e psicologico del disturbo, è importante soffermarsi su alcuni particolari inerenti la stessa definizione etimologica del termine e sulla componente storico-culturale legata al disturbo stesso. 


Definizione generale: Anoressia o Sitiergia? 

Se volessimo tracciare una breve definizione di anoressia, da esplorare in seguito più approfonditamente in questo articolo, potremmo dire che l’anoressia rientra nei disturbi della condotta alimentare (DCA) con esordio tipico in età adolescenziale-giovanile. 

Interessa prevalentemente la popolazione femminile, anche se negli ultimi anni investe sempre più vorticosamente anche il mondo maschile. 

Si caratterizza per una ossessiva paura di ingrassare, una visione della propria immagine corporea autopercepita sempre in sovrappeso nonostante, ad un occhio esterno, sia evidente una rilevante magrezza. Il peso corporeo, in ambito medico, generalmente viene calcolato tenendo in considerazione l'Indice di Massa Corporea, detto anche BMI (dall'inglese: Body Mass Index), che è un numero che esprime il rapporto esistente tra il peso in chilogrammi di una persona ed il quadrato della sua altezza espressa in metri e, nelle anoressiche, risulta molto al di sotto della media. 

Queste persone, soprattutto all’inizio, hanno scarsa consapevolezza del loro problema e per questo rifiutano ogni cura.


Anoressia mentale e anoressia nervosa indicano lo stesso fenomeno ma l’appellativo “nervosa” è quello preferito dai paesi anglosassoni. 

La parola anoressia deriva dal greco “ανορεξία” (anorexia) ed è composta dalla preposizione “an” che indica privazione e dal sostantivo “órexis” che significa “appetito” pertanto, secondo questa definizione, l’anoressia denoterebbe una mancanza di appetito. 

In verità il rifiuto relativo al cibo è un sintomo centrale in questo disturbo ma non sarebbe dovuto tanto ad una perdita di appetito, come lascia intendere l’etimologia, quanto invece al mancato riconoscimento della sensazione della fame. 

Questo uso disfunzionale della nutrizione solleva un aspetto importante connesso a questo particolare disturbo della condotta alimentare: se si pensa che la sensazione della fame non è solo innata, ma è acquisita nel corso della crescita e quindi regolata dall’esperienza, è probabile che qualcosa abbia funzionato in modo disadattivo nello sviluppo del bambino rispetto all’apprendimento delle modalità relative alla nutrizione. 

È possibile quindi che il modo in cui il bambino apprende a nutrirsi, le risposte dell’ambiente esterno a questo bisogno primario in termini di riconoscimento e soddisfacimento delle esigenze nutritive del bambino, possano aver un peso consistente nell’insorgenza di questo fenomeno. 


Questo potrebbe portare all’instaurarsi di un deficit funzionale non organico per cui, anche in presenza di un’attivazione fisiologica connessa all’appetito (per esempio le contrazioni gastriche da fame), l’anoressica neghi a se stessa e al mondo esterno, di provare la necessità di nutrirsi. 


Nel 1891 Sollier, consapevole di questa sfumatura concettuale importante non presente nel termine "anoressia", coniò la parola “Sitieirgia” che etimologicamente coglie il pensiero sottostante al comportamento anoressico,ovvero il rifiuto del cibo, in quanto proviene da σίτος (cibo) ed είργειν (tenere lontano). Infatti il pensiero del cibo è costante, tanto che frequentemente le persone affette da anoressia sognano di mangiare, sono spesso affamate ma si privano drasticamente di questa possibilità per paura di ingrassare. 


L’Anoressia nella storia 

La letteratura religiosa ci parla di sante vissute in epoca medievale che, in base alle attuali conoscenze psichiatriche, potrebbero rientrare nella categoria di persone affette da sintomi di tipo anoressico, tanto che oggi sono conosciute come le “sante anoressiche”. 

La componente mistico-religiosa che alimentava lo spirito di queste donne consacrate a Dio, si manifestava attraverso una tenace mortificazione della carne e dei suoi bisogni, dal puro nutrimento al piacere sessuale, pertanto cercavano di modellare il proprio corpo annullando qualsiasi riferimento alla propria femminilità, riducendone la formosità attraverso il digiuno che avrebbe portato conseguentemente a tutta una serie di sintomi tra cui anche amenorrea (assenza di mestruazioni) e lanugo (presenza su tutto il corpo di peluria). 

La condizione asessuata in cui le persone anoressiche desiderano rispecchiarsi testimonia la loro convinzione di elevazione rispetto ad un mondo debole e schiavo delle passioni da cui esse prendono superbamente distanza e da cui desiderano essere libere, perseguendo un ideale di purezza che ha tanto più valore quanto più è grande il sacrificio con cui lo raggiungono: indice e metro di giudizio del proprio valore personale e della propria autonomia. 

Il digiuno simboleggiava la negazione accanita della materialità e dei piaceri ad essa connessi e raggiungere la morte attraverso l’inedia permetteva di sacrificarsi a Dio nella ricerca della purezza e nella dimostrazione di una indiscutibile e incorruttibile devozione.
Donne dotate di una ferrea volontà, testarde e superbe, queste erano per esempio Giovanna D’Arco; Santa Caterina da Siena; Santa Chiara D’Assisi….delle quali le storie e le leggende narrano che contrastavano eserciti e influenzavano papi e governanti. 

In epoca medievale il digiuno era una pratica esaltata proprio per il suo valore religioso e allora esistevano “ragazze miracolose” che si diceva digiunassero da anni e che attiravano folle di curiosi disposte a pagare un biglietto per assistere allo spettacolo. 

Oppure si esibivano nei circhi e nelle fiere “artisti della fame”, digiunatori di professione che esponevano al pubblico i risultati della loro tenacia misurabile in magrezza. 


Criteri diagnostici per l'Anoressia Nervosa secondo il DSM IV 

Attualmente, per diagnosticare l’anoressia, si fa riferimento ai criteri indicati nel DSM-IV, ovvero il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, pertanto l’anoressia è definita da : 

A. Rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra o al peso minimo normale per l'età e la statura (per es. perdita di peso che porta a mantenere il peso corporeo al di sotto dell'85% di quello atteso, oppure in età evolutiva mancanza dell’aumento di peso previsto, con la conseguenza che il peso corporeo rimane al di sotto dell'85% rispetto a quanto previsto). 

B. Intensa paura di acquistare peso o di ingrassare, anche quando si è sottopeso. 

C. Alterazione del modo di sentire il peso o le forme del proprio corpo, influenza indebita del peso e delle forme del corpo sulla valutazione di sé, o rifiuto di ammettere la gravità della condizione attuale di sottopeso. 

D. Nelle donne che hanno avuto il menarca, amenorrea, cioè assenza di almeno 3 cicli mestruali consecutivi. (Una donna viene considerata amenorroica se i suoi cicli si manifestano solo a seguito di somministrazione di ormoni, per es. estrogeni.) 

Può essere con o senza abbuffate o condotte di eliminazione (per es. vomito autoindotto, uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi): 


Tipo restrittivo: nell'episodio attuale di Anoressia Nervosa il soggetto non ha presentato regolarmente abbuffate o condotte di eliminazione (per es. vomito autoindotto, uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi). 

Tipo bulimico: nell'episodio attuale di Anoressia Nervosa il soggetto ha presentato regolarmente abbuffate o condotte di eliminazione (per es. vomito autoindotto, uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi). 

Altre caratteristiche del disturbo, non menzionate nel DSM-IV 

- Perdere peso equivale ad una conquista indice di forte disciplina, al contrario, ingrassare rappresenta una perdita di controllo che non può essere accettata 

- Spesso nega le conseguenze sul piano della salute 

- Prova disagio a mangiare in pubblico 

-Tende a nascondere il suo comportamento per evitare la disapprovazione degli altri 

- Mangia da sola e lentamente, interrompendosi appena sente la pancia gonfia 

- A volte assume bevande calde tra un pasto e l'altro per attutire la fame 



Anoressia e personalità del paziente 

Le forme cliniche in cui si manifesta l’anoressia sono svariate ma, al giorno d’oggi, se ne individuano quattro in particolare, raggruppate a seconda della prevalenza di alcune caratteristiche dominanti nella personalità delle pazienti: 

1) SOMATOFORME:l’esordio è caratterizzato spesso da episodi di soffocamento durante l’ingestione di cibo. Questa modalità ha una valenza comunicativa verso l’ambiente esterno da cui si desiderano cure e attenzioni e tesa all’elusione di impegni e responsabilità che la paziente non si sente in grado di affrontare. 

2) FOBICO-OSSESSIVA: l’attenzione è focalizzata sulla quantità e la qualità del cibo da mangiare, sul conteggio delle calorie, sul rituale che accompagna la nutrizione, sul peso e sulla forma corporea e le conseguenti accurate misurazioni di peso e dimensioni. Molti di questi rituali bloccano e coinvolgono altri familiari, scandendo i ritmi e la quotidianità dell’intera famiglia. 

3) DEPRESSIVA:una pervasiva sensazione di insicurezza, sensi di colpa e inefficienza che impediscono di rapportarsi al cibo con piacere. 

4) PSICOTICA: il cibo rappresenta un elemento persecutorio in grado di influenzare o danneggiare, spesso gestito da una voce interna che ne proibisce l’assunzione. 


Insorgenza dell’Anoressia

La malattia insorge prevalentemente tra i 12 e i 18 anni, ma l’età d’esordio tende a salire, comunque non oltre i 35 . L’insorgenza postuma è piuttosto rara. Essa può sopravvenire dopo un lutto, un trauma, una separazione, la rottura di un equilibrio familiare, dopo il matrimonio o in seguito alla prima gravidanza ma è rara dopo la menopausa. 

L’anoressia si presenta più facilmente in famiglie in cui siano già presenti disturbi alimentari da parte di altri componenti . Questo fa supporre che in parte possa essere una condotta appresa, in parte possa essere una predisposizione genetica, visto che il tasso di concordanza per le anoressiche gemelle omozigoti è più elevato che per le gemelle dizigoti. 

Questo disturbo è particolarmente diffuso in alcune professioni centrate sul corpo come le indossatrici, le ballerine, le sportive ma si pensa anche che tali professioni, allo stesso tempo, esercitino una grande attrazione verso le potenziali anoressiche. 

È un disturbo in rapido aumento e appannaggio solo dei paesi economicamente più sviluppati. Mentre prima coinvolgeva le classi sociali più elevate, ora invece è abbastanza omogeneo e colpisce tutti gli strati culturali. Si pensa che, nelle classi meno abbienti, denoti un profondo senso di inadeguatezza da parte di quei giovani che fanno di tutto per equipararsi ad uno standard sociale da cui si sentono esclusi. 


Anoressia e controllo 

Una componente fondamentale della personalità anoressica è il bisogno di controllo verso se stessa e, di conseguenza, verso il mondo che la circonda. A sua volta il tema del controllo è legato ad altri tre aspetti centrali nella patologia: 

1) Il CORPO
2) IL PIACERE
3) L’AUTONOMIA 

Queste tre componenti sono intrinsecamente legate e, controllarle, equivale ad avere potere su se stessi e dare valore ad una propria identità autocostruita attraverso la rinuncia ai legami della materialità per mezzo di una gratificante disciplina. 


1) il corpo 

In adolescenza il corpo comincia a comunicarci un cambiamento a cui spesso l’adolescente non è pronto a rispondere e non si sente in grado di affrontare. 

La pubertà femminile nello specifico è accompagnata da un rapido aumento ponderale, la comparsa del menarca, le forme diventano più pronunciate e il mondo circostante comincia a manifestare delle nuove attenzioni rivolte ai segni una sessualità nascente. 

L’anoressica comincia allora a negare questo cambiamento sperimentando un forte senso di estraneità per il corpo attuale e aspirando ad una condizione asessuata come costruzione di una nuova identità che, oltre ad essere un atto di contestazione verso le aspettative altrui e verso il naturale cambiamento fisiologico, costituisce una ribellione alla dipendenza insita nell’accettazione della propria condizione di donna, intesa come dipendenza affettiva, dipendenza dal corpo della donna che seduce, che reca piacere all’uomo, che procrea….Dimostra in questo modo di avere potere anche sulla natura che la vorrebbe donna e che invece, grazie all’opposizione tenace che l’anoressica agisce, non riesce a fare il suo corso.
Questo esasperato controllo si traduce allora in senso di onnipotenza e ascensione ad una condizione svincolata dagli obblighi del terreno vivere (di nutrirsi, di riposarsi, di riprodursi...). 


2) il piacere 

La possibilità di sperimentare piacere è percepita dall’anoressica come un segno di debolezza che deprezza il proprio valore personale e crea dipendenza. Allo stesso tempo ogni qualvolta ella sperimenta una forma di piacere deve immediatamente espiare a causa di sensi di colpa insopportabili che possono essere neutralizzati solo da un successivo gesto catartico (le condotte di eliminazione nell’anoressia di tipo bulimico). 

Provare piacere depotenzia, intacca il proprio senso di potere e, per questo, è proibito in quanto rischia di frammentare l’identità sacrificale che l’anoressica si costruisce. Non a caso per diagnosticare l’anoressia maschile, la presenza del calo del desiderio sessuale nei maschi è considerato l’equivalente dell’amenorrea nelle femmine. 


3) l’autonomia 

Spesso l’anoressica percepisce l’ambiente circostante, soprattutto quello familiare, come prepotente ed intrusivo pertanto cerca di contrastarlo rifiutando di essere nutrita passivamente. Il proprio corpo che cresce e che cambia è il simbolo della recettività passiva con cui si accetterebbe l’intrusione e il controllo da parte di un ambiente che la persona affetta da anoressia ha sperimentato come manipolatorio e ambivalente. L’unica possibilità che l’anoressica ha di assaporare la propria autonomia e il proprio senso del sé è nel rifiuto del cibo che implica il controllo sul cambiamento e sulla propria identità. 


Conseguenze organiche dell’Anoressia 

L’aspetto delle anoressiche risente delle alterazioni metaboliche, endocrine e organiche conseguenti al malfunzionamento del comportamento nutritivo, pertanto spesso presentano 
-ossa prominenti 
-occhi infossati 
-pelle squamosa 
-lanugo e ipertricosi 
-edemi
-amenorrea
-bradicardia 
-bradipnea 
-ipotermia 
-caduta dei capelli
-insufficienza renale
-colorito giallo, occhi cerchiati e arrossati 
-alterazioni cardiache e cardiovascolari 
-osteoporosi (fragilità ossea, dentaria e delle unghie) 
-demineralizzazione dei denti (i denti vengono spesso attaccati dagli acidi che sono presenti nel vomito) come nella bulimia nervosa
-perdita di sali (per es. calcio e potassio) 

La tomografia assiale computerizzata (TAC) cerebrale inoltre evidenzia in circa il 50% delle pazienti “una dilatazione ventricolare e un’ accentuazione dei solchi interventricolari, configurando così una pseudoatrofia cerebrale, proporzionale all’entità del dimagrimento e spesso reversibile con la ripresa del peso” (Costa e Montecchi, 2007). 


La terapia dell’Anoressia 

La terapia, nel caso dell’anoressia, deve ricorrere a più strumenti d’intervento che vadano a toccare i molteplici aspetti connessi con questa patologia. Pertanto l’approccio terapeutico che maggiormente si presta a questo tipo di trattamento è quello sistemico-relazionale che punta ad affrontare la globalità del problema e a modificare le relazioni tra tutti i componenti del sistema familiare dal momento che il sintomo investe quotidianamente la vita familiare. 

L’esperienza dei ricercatori (Costa, Montecchi,2007) suggerisce che si conseguono risultati più duraturi nel tempo avvalendosi di un trattamento ad approccio integrato che preveda contemporaneamente: 

-cura farmacologica 

-riabilitazione nutrizionale 

-psicoterapia individuale o di gruppo 

-psicoterapia relazionale della famiglia

-monitoraggio biologico-medico




Disturbo da alimentazione incontrollata



Il Disturbo da alimentazione incontrollata (DAI) o Binge Eating Disorder (BED) è un disturbo della condotta alimentare relativamente giovane, nel senso che il suo riconoscimento è avvenuto solo intorno al 1992 ma, nonostante tutto, destinato ad un rapido aumento tra la popolazione.

Per molto tempo si è pensato fosse solo un sintomo della più conosciuta bulimia nervosa ma in realtà rappresenta una vera e propria alterazione del comportamento alimentare. Presenta delle specifiche caratteristiche legate alla ricorrente presenza di abbuffate che, al contrario della bulimia nervosa, non prevedono strategie compensatorie (vomito, assunzione di lassativi, digiuno o massiccio esercizio fisico) atte a ridurre l’incremento ponderale. 

Questo comportamento fagocitante incontrollato era già stato osservato nel 1959 da Stunkard in sottogruppi di pazienti obesi che, durante delle vere e proprie crisi compulsive, ingerivano una consistente quantità di cibo perdendo il controllo sul proprio comportamento. 

La diffusione di questo disturbo della condotta alimentare sembra abbastanza omogenea nella popolazione in quanto colpisce uomini e donne in egual misura, senza distinzione di razza.
Viene diagnosticato più facilmente in soggetti adulti tra i 30 e i 40 anni ma spesso si scopre che queste persone soffrivano di disturbi alimentari fin dall’adolescenza. 

È presente nel 30% circa dei casi di obesità che richiedono una cura per la loro situazione, nel 2-3% di tutti i soggetti obesi e, nell’80% di questi ultimi casi, compaiono anche disturbi dell’umore e altri quadri psicopatologici. 


Criteri diagnostici per il Disturbo da Alimentazione Incontrollata (DAI) o Binge Eating Disorder (BED) secondo il DSM IV 

Allo stato attuale nel DSM IV (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) il  Disturbo da alimentazione incontrollata (DAI) non viene ancora riconosciuto come entità nosografica a se stante ma ne sono stati definiti dei criteri diagnostici specifici: 

A) Episodi ricorrenti di abbuffate compulsive. Un’abbuffata compulsiva è definita dai due caratteri seguenti (entrambi necessari). 
- Mangiare, in un periodo di tempo circoscritto (per esempio nell’arco di due ore), una quantità di cibo che è indiscutibilmente maggiore a quella che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso periodo di tempo in circostanze simili. 
- Senso di mancanza di controllo sull’atto di mangiare durante l’episodio (per esempio sentire di non poter smettere di mangiare o di non poter controllare cosa o quanto si sta mangiando). 

B) Gli episodi di abbuffate compulsive sono associati ad almeno tre dei seguenti caratteri: 
- Mangiare molto più rapidamente del normale; 
- Mangiare fino ad avere una sensazione dolorosa di “troppo pieno”;
- Mangiare grandi quantità di cibo pur non sentendo fame; 
- Mangiare in solitudine a causa dell’imbarazzo sociale per le quantità di cibo ingerite; 
- Provare disgusto di sé, depressione o intensa colpa dopo aver mangiato troppo. 

C) Le abbuffate compulsive suscitano sofferenza e disagio. 

D) Le abbuffate compulsive avvengono, in media, almeno due giorni la settimana per almeno sei mesi. 

E) L’alimentazione incontrollata non risulta associata con l’utilizzazione sistematica di comportamenti compensatori inappropriati (uso di purganti, digiuno, eccessivo esercizio fisico) e non si riscontra soltanto nel corso di anoressia o di bulimia nervosa.


L’Abbuffata nel Disturbo da alimentazione incontrollata

L’abbuffata è quella componente della condotta alimentare che si riscontra in diversi disturbi alimentari come il  Disturbo da alimentazione incontrollata, la Bulimia nervosa e in alcuni casi di Obesità.
Essa si caratterizza per il consumo di una grossa quantità di cibo in un ridotto periodo di tempo all’interno di un comportamento impulsivo sul quale la persona sente di non avere controllo. 


Differenze con la bulimia nervosa 

Mentre nei casi di bulimia, l’abbuffata si presenta sotto forma di singole crisi nel corso della giornata, nei casi di Binge Eating Disorder invece si presenta 3 o 4 volte a settimana nei giorni definiti “binge” e nella restante parte della settimana si verifica un’alimentazione che rientra nella norma o addirittura ridotta. 

In questi giorni particolari in cui prevalgono le abbuffate, le persone affette da BED prediligono l’assunzione di cibi ricchi di grassi e riducono quella di fibre e proteine. 

Mentre nei pazienti bulimici le crisi bulimiche di abbuffata avvengono in seguito al perdurare di un regime alimentare drasticamente ipocalorico, per i pazienti BED non è stato dimostrato il ruolo predisponente delle restrizioni dietetiche anzi, più riescono a dimagrire, più cercano di mantenere un atteggiamento nutrizionale nella norma. 


Differenze con l’obesità 

Rispetto all’obesità, benché in entrambe le patologie siano presenti casi di abbuffate compulsive, i pazienti con Disturbo da alimentazione incontrollata manifestano un senso di colpa conseguente all’abbuffata alimentare e una preoccupazione riguardante il peso corporeo che è maggiore rispetto a quella presente nei pazienti obesi, con cui comunque condividono uno stile di vita prevalentemente sedentario e un aumento ponderale rapido a causa dell’incapacità di controllare l’apporto calorico assunto. 

Quando l’aumento di peso è veloce e progressivo, si è notato che, con l’aumento visibile dell’adiposità, si riscontra un peggioramento della condotta alimentare compulsiva. Essi vanno incontro alle stesse complicanze organiche a cui sono soggetti gli obesi:
-malattie cardio-vascolari
-ipertensione arteriosa
-diabete mellito
-alcune neoplasie 


Caratteristiche del  Disturbo da alimentazione incontrollata (DAI)  

Il  Disturbo da alimentazione incontrollata sembra avere origine nel periodo dell’adolescenza, in una situazione di normopeso, spesso a seguito di una significativa perdita di peso dovuta ad una dieta autogestita o scorretta. 

Questi pazienti manifestano difficoltà in svariati ambiti della loro vita: 

- disagio sociale e lavorativo esteso alla maggior parte dei rapporti interpersonali 

- distorsione nella visione del proprio corpo che alimenta senso di insicurezza e inadeguatezza 

- pressione e stress dovuti alla grande quantità di tempo trascorso sotto regime dietetico 

-in alcuni casi abuso di alcool o droghe e storie di abusi infantili o scarsa presenza affettiva e sostegno da parte delle figure di accudimento 

-difficoltà a gestire gli stati d'animo o a esprimere/manifestare le proprie emozioni (compresa la rabbia) 

- senso di impotenza legato all’incapacità di controllare il proprio comportamento alimentare e il conseguente aumento di peso 

Il 50% dei pazienti con Disturbo da alimentazione incontrollata soffre di depressione maggiore, disturbo di panico e alcuni disturbi di personalità. Il sintomo dell’abbuffata infatti andrebbe a compensare una sensazione pervasiva di sconforto e solitudine presente nel momento della crisi. 

Un elevato sovrappeso può contribuire al mantenimento e all’accentuazione del sintomo compulsivo, in quanto restituisce al paziente stesso una senso di fallimento, colpa e vergogna che autoperpetua la condotta alimentare incontrollata. 

Alcune teorie sostengono che la capacità di alcuni cibi di gratificare la persona grazie ai processi ormonali antidepressivi conseguenti, alimenterebbe la sintomatologia del paziente con Disturbo da alimentazione incontrollata che riuscirebbe, tramite le abbuffate di alcuni cibi nello specifico, a contrastare, seppure momentaneamente, uno stato d’animo depressivo insopportabile.


La sindrome dei mangiatori notturni (NES)

Nel 1955 Stunkard cominciò a studiare la sindrome dei mangiatori notturni che altro non è che una variante del  Disturbo da alimentazione incontrollata (DAI), con la differenza che nei casi di NES, le abbuffate avvengono di notte. 

In queste persone si verifica un'inversione del ritmo ormonale giorno-notte (melatonina che influisce sul sonno e leptina che influisce sull'appetito) pertanto c’è una maggior predisposizione notturna a cedere all’impulso dell’abbuffata, ma le caratteristiche psicologiche dei pazienti restano le medesime dei casi di  Disturbo da alimentazione incontrollata. 

Si sono rilevate alcune differenze nelle abitudini alimentari tra le ore serali e mattutine infatti, generalmente, i pazienti che soffrono di NES si svegliano la mattina senza alcun appetito e tendono a saltare la colazione e a volte anche il pranzo. 

Più si avvicina la sera e più torna l’interesse per il cibo che cercano di assumere in eccesso durante la cena. Conseguentemente provano difficoltà ad addormentarsi e necessità di mangiare prima di addormentarsi. 

Sono soggetti a risvegli notturni accompagnati dal bisogno di mangiare per riuscire a riaddormentarsi, con conseguenti disturbi del sonno. Questo stile di vita mina severamente l’equilibrio psicologico della persona che infatti è più facilmente esposta a stress e stati depressivi.
La NES colpisce il 2% della popolazione, il 9% dei pazienti obesi e il 27% dei pazienti severamente obesi ed interessa principalmente persone di età compresa fra i 30 e i 40 anni. 


La terapia del Disturbo da alimentazione incontrollata

L’intervento terapeutico nei casi di  Disturbo da alimentazione incontrollata agisce su due aspetti: la condotta alimentare compulsiva e il sovrappeso pertanto, oltre ad un ausilio farmacologico, è indispensabile scegliere di intraprendere una psicoterapia. 

Dal momento che lo stile nutrizionale patologico della persona che soffre di  Disturbo da alimentazione incontrollata è strettamente connesso ad un malessere psicologico di cui l’abbuffata rappresenta il sintomo, è prioritario che il paziente possa elaborare e risolvere le dinamiche sottostanti alla sintomatologia, attraverso un percorso terapeutico che gli permetta di riacquistare il potere di scelta sul proprio stile di vita, potenziando quelle risorse della persona che lo stesso paziente non riesce a recuperare in se stesso. 

La difficoltà a gestire i rapporti interpersonali e a stabilire relazioni sociali adeguate e gratificanti contribuisce a determinare stati negativi che favoriscono l'insorgenza di comportamenti alimentari abnormi, per questo motivo una psicoterapia sistemico-relazionale, che affronta approfonditamente la vita relazionale dei pazienti e lo stato d'animo interno, può rivelarsi molto utile nel trattamento del Disturbo da alimentazione incontrollata.





Obesità



Obesità come malattia


L’obesità è una malattia cronica caratterizzata da una disfunzione nel modo in cui il nostro organismo assume, utilizza e deposita l’energia prodotta dagli alimenti con cui ci nutriamo e che finisce nel tessuto adiposo (sotto forma di trigliceridi), deputato alla conservazione e all’impiego dell’energia presente. 

Questo accumulo energetico è dovuto ad uno squilibrio tra la quantità e qualità di sostanze nutritive introdotte nel nostro corpo tramite l’ iperalimentazione e la scarsità o assenza di lavoro fisico dovuto ad un pronunciato sedentarismo che ostacola la mobilizzazione di energia, pertanto non si verifica quel dispendio energetico che permetterebbe uno smaltimento dell’energia in eccesso. 

Fino a poco tempo fa, obesità e sovrappeso erano considerati problemi di carattere solamente medico o nutrizionale ma, con la diffusione di una maggior conoscenza in merito ai Disturbi della Condotta Alimentare, si è cominciato ad esplorare anche la componente psicologica sottostante a questo problema di incremento ponderale che prevede un grande costo sociale, psicologico ed emotivo per chi ne soffre. Spesso queste persone devono fare i conti con un atteggiamento negativo, giudicante e discriminatorio che la restante parte di società a volte manifesta nei confronti dell’Obesità, con conseguente compromissione della vita interpersonale: dal mondo del lavoro alla sfera affettiva. 



Obesità e insorgenza nella popolazione


La distribuzione epidemiologica dell’Obesità varia da nazione a nazione e, all’interno dello stesso paese, varia a seconda del gruppo etnico di appartenenza. Negli stati uniti per esempio genera 300.000 morti l’anno, divenendo la seconda causa di decesso dopo il fumo. Per quanto riguarda l’Europa invece, uno studio condotto dall’Associazione Europea per lo studio dell’Obesità ha rilevato che la maggior percentuale di obesi è concentrata in Finlandia, seguita da Germania, Inghilterra e Russia
Ma la presenza dell’Obesità nella popolazione mondiale dipende da diversi fattori. 



Fattori Culturali


Nei paesi a basso reddito individuale, l’Obesità prevale tra le classi socio-economicamente più agiate e nelle comunità urbane. 

Nei paesi a reddito individuale più elevato, ne sono più colpite le classi sociali meno agiate, soprattutto donne, e la popolazione rurale. 

Nelle società economicamente più sviluppate, l’Obesità riguarda principalmente i bambini e sono meno evidenti le differenze tra i due sessi. 

L’incidenza dell’Obesità sembra essere direttamente proporzionale al crescente benessere nella popolazione, influenzata dalla diffusione di modelli di vita occidentali che promuovono un’alimentazione “veloce”, con i ritmi frenetici, a cui le persone si uniformano spesso per esigenze di tempo e comodità, associata a diete ipercaloriche e ad alto contenuto di grassi. 

La contraddizione a cui le tendenze culturali globalizzanti sottopongono l’individuo prevedono che, se da un lato le agenzie che veicolano l’informazione pubblicizzano stereotipi di magrezza, iperattività, bellezza estetica dai canoni quasi irraggiungibili; dall’altro trascurano di evidenziare realisticamente le condizioni di vita lavorative, affettive e familiari spesso frenetiche, alienanti e stressanti a cui la maggior parte delle persone sono sottoposte quotidianamente. 



Fattori Socio-ambientali


Alcune culture o sub-culture familiari, in cui si pensa ancora che “essere grassi” sia sinonimo di salute o benessere favoriscono l’instaurarsi di una mentalità e una conseguente condotta alimentare alterata che mette a rischio soprattutto i bambini, stimolati a “mangiare tanto per crescere”. 



Fattori Genetici


Come attestano gli studi effettuati su famiglie in cui sono presenti persone obese e condotti sui gemelli, sembra esistere una certa predisposizione genetica nell’insorgenza dell’Obesità che favorirebbe le disfunzioni metaboliche responsabili del disturbo, in presenza di alta disponibilità di cibo e marcato sedentarismo. 

Queste caratteristiche genetiche determinano la tendenza all’ accumulo di grasso e inducono alterazioni del comportamento alimentare e del dispendio energetico. Nelle famiglie in cui uno dei genitori è obeso, esiste il 50% di possibilità che anche il figlio diventi obeso, e chi ha i 2 genitori obesi, rischia per l’ 80 /90% dei casi di esserlo. 

Ci sono inoltre alcuni gruppi etnici in cui predomina la possibilità di incorrere in problemi di Obesità, come nel caso degli indiani Pima, una tribù in cui il disturbo è presente con una percentuale del 90% in entrambi i sessi. 



Differenze di genere e ciclo di vita 


In alcune fasi della vita si è più predisposti fisicamente all’accumulo di grasso perché, col passare del tempo, si rallenta il metabolismo che, se associato al naturale cambiamento ormonale che colpisce l’organismo, influenza notevolmente la variazione ponderale. All’interno di questo processo evolutivo,le donne hanno più probabilità di aumentare di peso poiché, al contrario di quanto accade negli uomini, la loro struttura è composta per l’ 80% da grasso e per il 20% da massa muscolare. Le donne inoltre, nell’arco della vita, possono andare incontro a gravidanza che, in alcuni casi, può causare Obesità. 



Stile di vita


Un’alimentazione inadeguata che predilige grassi, carboidrati, alcool, consumo veloce e frettoloso degli alimenti, con scarsa assunzione di frutta e fibre può predisporre alle alterazioni metaboliche che sono all’origine del sovrappeso e dell’Obesità, stato che è ulteriormente compromesso da uno stile di vita sedentario. Una scarsa attività fisica favorisce l’aumento di massa grassa, mentre chi fa sport accresce la massa muscolare che, di conseguenza, lascia meno spazio all’insediamento della massa grassa. 



Obesità e componente psicologica


L’80% delle obesità è di origine alimentare e dipende prevalentemente da uno stile di vita e un atteggiamento nutrizionale alterato oppure è associata ad altri disturbi psicologici, dovuti a fattori psicogeni. Nell’uno o nell’altro caso, l’Obesità comunque si presenta come una problema legato ad un grande malessere psicologico. 

Alcuni Disturbi della condotta alimentare, come ad esempio il Binge-Eating Disorder o la Sindrome da Abbuffata notturna, comportano una aumento di peso notevole.
In questi casi la persona si iperalimenta spinta da modalità compulsive sulle quali non riesce ad avere controllo, come nel caso delle abbuffate, ma non riesce poi a bilanciare l’introito energetico con un consumo, misurabile in termini di lavoro fisico, proporzionato all’iperalimentazione precedente. 

Questo accade perché la persona si nutre prevalentemente di carboidrati e grassi, conduce una vita sedentaria o stressante, mangia frequentemente in eccesso durante le ore serali, può avere l’abitudine di fare il riposino pomeridiano. Inoltre, se subentrano Disturbi d’ansia o Depressione per i quali si assume una terapia farmacologica, questa potrebbe contribuire a favorire la già presente tendenza al sovrappeso, con gravi conseguenze sul piano della salute fisica e psicologica. A volte alcuni farmaci, come gli anti-psicotici, prevedono come affetto collaterale l’incremento ponderale. 

I problemi di sovrappeso spesso sembrano coesistere con altri disturbi di cui l’individuo obeso può soffrire, come nel caso del Disturbo Ossessivo Compulsivo, dei Disturbi d’Ansia, della Depressione, di alcuni Disturbi di Personalità. 

Nelle donne che soffrono di disturbi alimentari, spesso si riscontrano diagnosi associate di Fobia sociale, uso di sostanze e dipendenza (per esempio dipendenza affettiva). In questi casi può succedere che l’incremento ponderale abbia un effetto peggiorativo sul disturbo già presente, la cui gravità si commisura con la difficoltà di rientrare nel range di peso corporeo desiderato. 
Alcuni disturbi, come il Disturbo bipolare dell’Umore e il Disturbo Schizoaffettivo, comportano una tendenza ad iperalimentarsi in condizioni di forte stress e incorrono nel rischio di Obesità o di variazioni di peso corporeo nella direzione del sovrappeso.  



Obesità e aspetto relazionale


Da un punto di vista familiare ed evolutivo, spesso l’adulto obeso, è stato un bambino obeso verso il quale i genitori o altri familiari si rivolgevano utilizzando come unico canale comunicativo proprio il cibo.
Il cibo, oltre a diventare lo strumento principale con cui i genitori rispondevano alle esigenze infantili, rappresentava anche l’unico modo con cui essi manifestavano il loro affetto in quanto ad ogni richiesta del bambino, essi davano una risposta di “tipo alimentare”, fornendo o somministrando cibo . 

Il bambino si trovava a ricevere cibo indipendentemente dal reale bisogno di nutrimento e questo automatismo lo avrebbe portato a riconoscere con difficoltà le proprie sensazioni di fame o sazietà. Inoltre avrebbe innescato un comportamento secondo cui, di fronte a sensazioni sgradevoli o frustrazioni, per il bambino era naturale ricorrere passivamente al cibo. Questo stile relazionale familiare contribuirebbe a generare nel bambino un profondo senso di insicurezza, passività, dipendenza. 

Nei soggetti obesi si riscontra frequentemente l’incapacità a discriminare correttamente le proprie sensazioni corporee di fame e sazietà e la tendenza ad associare alla fame alcuni stati emotivi, senza riuscire a discernere le sfumature. 


Un’interessante ricerca di Clerici e Albonetti si basa proprio sull’ipotesi che gli adulti gravemente obesi abbiano difficoltà ad esprimere sentimenti ed emozioni, all’interno di un processo identificabile come Alessitimia e definibile come: 
1) inabilità ad esprimere e a vivere esperienze emotive 
2) pensiero orientato verso l’esterno anziché verso il proprio mondo interno 
3) ragionamento concreto e stereotipato 
4) impoverimento della vita affettiva e relazionale
5) diminuzione nel "sognare ad occhi aperti"
6) tendenza a somatizzare, ovvero a comunicare per mezzo del corpo emozioni e sentimenti. 


L’alimentazione, che prevede un insieme di azioni non verbali e fisiche, diventa quindi un modo per attenuare stati d’ansia e frustrazioni e, la ripetitività di questa strategia compensatoria mirata a ridurre le sensazioni insopportabili, è talmente incisiva da far dipendere l’ingestione di cibo non più dai centri ipotalamici della fame e della sazietà, ma da stati emotivi interni e vuoti affettivi.  



Obesità nei bambini o Obesità infantile


L’incidenza di Obesità infantile, come accennato precedentemente, è più frequente nei paesi maggiormente sviluppati o in quelle sub-culture etniche o familiari in cui prevalgono stili alimentari scorretti e ricchi di grassi e carboidrati. In Italia le regioni che più vanno incontro a questo problema sono quelle Meridionali, con la città di Napoli al primo posto. 

Fattori predisponenti l’insorgenza dell’Obesità infantile sono il basso livello sociale, uno stile di vita sedentario legato spesso all’ eccessiva permanenza davanti alla televisione, la deprivazione affettiva familiare, la condizione di figlio unico, la scarsa presenza qualitativa dei genitori, la mancanza di uno dei due genitori, la scarsa qualità e durata del sonno notturno. 

La diagnosi di Obesità in infanzia e adolescenza è resa più complicata per il fatto che interessa fasi evolutive in cui i dati biometrici variano notevolmente a causa della crescita e dello sviluppo, ma in alcuni casi il sovrappeso è evidente. 

Generalmente i bambini obesi tendono a essere più alti, presentano un invecchiamento precoce delle loro ossa e una maggiore concentrazione di massa grassa, le femmine hanno le mestruazioni precocemente rispetto alle coetanee non obese.
Un bambino obeso diventerà con grande probabilità un adulto obeso, con una probabilità dell’80% di soffrire di disturbi connessi al sovrappeso, in quanto l’Obesità infantile tende ad essere persistente a seconda dell’età d’esordio e della gravità, infatti un’età d’esordio molto bassa aumenta il rischio di cronicità, soprattutto nelle femmine. 

L’Obesità infantile può interferire con lo sviluppo dell’immagine corporea che il bambino si costruisce durante la crescita e infatti molte persone obese, indipendentemente dall’età, sperimentano vissuti negativi in merito alla propria immagine di sé dovuta molto spesso anche al fatto che, da piccoli, sono stati esposti ad esclusione, emarginazione, derisione da parte dei coetanei e, a volte, anche vittime di bullismo. 



Conseguenze organiche dell’Obesità 


L’Obesità comporta gravi conseguenze da un punto di vista fisico, oltre che psicologico. Sovrappeso e obesità sono frequentemente legati a sindrome metabolica e resistenza insulinica con grave rischio di morte per l’individuo. Altri disturbi connessi sono:
- Ipertensione
- Malattia coronarica
- Insufficienza cardiaca
- Calcolosi biliare
- Apnea del sonno
- Osteoartrite
- Diabete
- Problemi articolari
- Anomalie della fertilità
- Gravidanze a rischio
- Ernia Iatale
- Fegato Grasso 
- Alcune tipologie di cancro (colon, endometrio, vescica, mammella) 



La terapia dell’Obesità


Il primo aspetto legato alla terapia dell’Obesità, che dovrebbe investire sia l’ambito fisico che quello psicologico, prevede innanzitutto una maggior consapevolezza alimentare in termini di scelta dei cibi, stile di vita, controllo dei comportamenti, esercizio fisico, tutti aspetti legati ad una predisposizione e volontà che un percorso psicoterapeutico può contribuire a fortificare, nel tentativo di elaborare il disagio e cercare strategie più utili e funzionali di comportamento. 

L’obiettivo della terapia è quello di restituire alla persona il controllo sulla propria condotta nell’ottenere miglioramenti evidenti, prefissandosi piccoli e graduali traguardi. L’approccio terapeutico all’obesità deve prevedere la collaborazione tra diverse figure quali lo psicoterapeuta, il medico e, ove necessari, il nutrizionista e lo psichiatra.





mercoledì 9 maggio 2012

Terapia dei disturbi alimentari | Roma


Centro Romano di Psicologia e Psicoterapia

Vicolo del Cinque 55 - Trastevere - Roma



Tel/Fax: 06/5806285